In ricordo di Daniela


15 maggio 2015.

Nella notte tra il 14 e il 15 maggio ci ha lasciato, dopo breve ma spietata malattia, Daniela Meucci.

Daniela era la colonna portante dell'Arsenale che aveva contribuito ad immaginare prima, a costruire poi ed, infine, a portarlo ad essere quello che è oggi. E' grazie al suo impegno e alla sua inesauribile passione che nell'ottobre del 2014 l'Arsenale è stato riconosciuto dalla FICE come il miglior cinema d'essai italiano a coronamento di più di trenta anni di attività. Quel premio è suo e soltanto suo, guadagnato in mezzo a mille difficoltà economiche, organizzative, logistiche, perennemente in lotta con una logica di mercato ottusa che fino all'ultimo ha combattuto con la sua ostinazione e la sua inesauribile energia. Per noi dell'Arsenale rimane un vuoto enorme, ma ci spinge ad andare avanti la certezza che tenere in vita la sua creatura sia il modo migliore per tenere in vita il suo ricordo. La sua lezione e il suo esempio ci hanno insegnato che solo la passione e la tenacia possono far diventare veri dei sogni. Ed è per questo che l'Arsenale continuerà ad esistere anche dopo Daniela, perché questo è l'unico modo per farla riposare davvero in pace.



15 maggio 2015. Ciao Daniela!

 

Un doppio arcobaleno che scavalca l'Arno per salutare Daniela.



15 maggio 2015. Cultura in lutto per la scomparsa di Daniela Meucci.

Dopo una breve malattia è deceduta Daniela Meucci, 66 anni, una delle anime del cineclub Arsenale. Il professore universitario e critico cinematografico Augusto Sainati, docente tra Napoli e Pisa, la ricorda così: "Mi è difficile parlare di Daniela Meucci, scomparsa dopo una breve malattia, usando i verbi all’imperfetto. Perché Daniela è una donna che ha sempre vissuto al presente. Vorrei dire radicandosi nel presente, come radicata è stata dentro l’Arsenale, il piccolo grande cinema che mantiene viva da oltre trent’anni la lunga tradizione d’amore tra la settima arte e Pisa. I molti pisani e non pisani che negli ultimi trent’anni abbondanti hanno frequentato l’Arsenale conoscono benissimo il rapporto simbiotico che c’è tra Daniela Meucci e l’Arsenale: non c’era stagione, non c’era orario, non c’era giorno in cui Daniela non fosse lì, magari nel backstage a fare il lavoro duro ma necessario dell’organizzazione, oppure sulla front-line a dialogare con il pubblico sempre vario e appassionato che anima quella sala. Sempre presente, sempre al presente, con la coscienza viva, e per questo anche politica, del presente. Proprio quella coscienza rigorosa l’ha forgiata nel modo in cui tutti noi l’abbiamo conosciuta: sobria in ogni occasione, in certi casi perfino eccessivamente severa. Ci scherzavamo molto, lei ed io, sulle sue punte spigolose, che erano certo un partito preso che lei sapeva temperare con l’ironia: per questo la chiamavo Lady D. Ci scherzavamo perché sapevamo che solo il sorriso poteva completare, senza scalfirla, quell’identità. Anche nelle occasioni più pubbliche, quando veniva qualche regista, per esempio, e c’era da fare gli onori di casa, Daniela non cambiava di una virgola il suo modo di essere e di atteggiarsi, fedele fino in fondo al suo credo laico. Una donna no-frills, come si dice delle compagnie aeree, senza fronzoli ma puntuale, soprattutto sul piano umano. Asciutta come i mattoni a vista della struttura medievale che ospita l’Arsenale".



16 maggio 2015. In ricordo di Daniela.

Daniela Meucci è stata una presenza costante nella mia vita, fin dagli anni Settanta. I percorsi di incontro erano quelli di un cinema che amavamo fra amici e compagni di studio, intrecciati con la vita che ci stavamo costruendo.

Ricordo serate condivise con Michela, sua figlia, e Sascia, figlio del mio compagno, negli anni Settanta. Due bimbi che sembravano usciti da Il monello di Chaplin. I suoi capelli anche allora cortissimi.

La sua era una specie di severità su cui si poteva contare, perché era segno di sincerità e di integrità.

Frammenti di dialoghi, cinema e concerti, dolci serate estive al Giardino Scotto. E poi quel sogno che lei e i suoi compagni e compagne hanno realizzato e donato alla nostra città: un cineclub a Pisa. Ma ricordo anche la passione per la fotografia, gli andirivieni con l’Elba e la Corsica, il suo amore per il sole e il mare, anche in piacevole solitudine e autonomia.

Una presenza, quella di Daniela, che si era andata identificando nel tempo con quel luogo prezioso, la saletta del vicolo Scaramucci, il cineclub fondato nel 1982 e premiato a Mantova dalla FICE nel 2014 come migliore cineclub dell’anno.

La caratterizzava quel tono riservato, anche ruvido; un’essenzialità che segnava il suo intero vivere, dal vestire al parlare. E una specie di severità su cui si poteva contare, perché era segno di sincerità e di integrità: questa severità, benché talvolta scomoda, era una sicurezza. Ma era anche il suo modo di governare con mano ferma, insieme alla sua “famiglia” dell’Arsenale, un non facile groviglio di problemi e un ricco intreccio di collaborazioni e progetti.

Un lavoro pazientemente intessuto con solidità e con la forza che occorre per resistere giorno dopo giorno in un contesto non facile. Attraverso i nostri incontri, le collaborazioni per le iniziative universitarie (ma non solo) e il nostro scambio di mail, che in certi periodi si faceva quotidiano, entravo nella macchina complessa del suo organizzare, ideare, pensare, sistemare difficili incastri di programmazione, fronteggiare costi proibitivi di alcuni noleggi, le ben note perversioni della distribuzione.

Ma constatavo anche la sua capacità di creare felici corto-circuiti, di trattare con registi, autori e critici, la sua autorevolezza scarna ed efficace nell’allestire serate, la sua politica dell’accoglienza nei confronti di associazioni e di lavori d’esordio, la sua attenzione sempre vigile alle tematiche politiche e sociali, all’impegno civile.

La rete creata ha riguardato miriadi di associazioni, iniziative dei corsi di laurea e di diversi Dipartimenti universitari, senza mai dimenticare le novità, i classici, i “non riconciliati”, e le nuove forme che assume l’audiovisivo.

Daniela, così mi pare oggi, c’è sempre stata, ci ha sempre accompagnato, in quel suo modo attento e schivo, lontanovicino. Con una solidità e una costanza che rendono ancora più incredibile e dolorosa questa scomparsa. E che ci fanno stringere ancora più forte al “nostro” Arsenale e al suo futuro.

Quanti doni abbiamo ricevuto. Quanti volti passati di lì, quanti grandi maestri e quanti autori sconosciuti, quante scoperte, quanti mondi, e risate, e lacrime, quanti artisti; quante discussioni, messaggi, cene, immagini, commenti. E sempre lei, Daniela, sulla soglia, o nell’atrio ad accogliere pubblico e registi; o in sala col microfono, o lì accanto, nell’ufficio, a preparare il notiziario, a contattare gli autori.

O seduta a guardarsi, finalmente, un bel film.

Sandra Lischi (presidente del corso di laurea in discipline dello spettacolo e della comunicazione)



28 maggio 2015. Orson Welles e la telefonata del lunedì.

Il lunedì era un giorno pericoloso per chi aveva a che fare con Daniela. Già salendo le scale era possibile percepire dalla sua espressione l'aria che tirava e, quindi, era bene regolarsi di conseguenza. Ovvero non rivolgerle la parola, se non strettamente necessario, e, possibilmente, non invadere il suo spazio vitale che iniziava almeno a un metro dalla sua postazione. A chi non rispettava queste regole era riservato un suo "amichevole" ringhio. Questo non perché il lunedì fosse il primo giorno di lavoro della settimana, per Daniela l'Arsenale non era un lavoro, era la sua vita, bensì perché era il giorno in cui cadeva la temibile e temuta telefonata alla distribuzione di Firenze e in cui l'onnipotente distribuzione di Firenze decideva (e decide) il tuo destino: ti concederà per il fine settimana una prima visione proponibile o ti obbligherà a programmare il film che nessuno ha voluto? Così funziona in Toscana la distribuzione, prima mangiano i più forti e poi, se resta qualcosa, gli altri. E allora erano urla e strepiti, litigate furibonde che spesso si risolvevano in sconfitte piene di amarezza e umiliazione che Daniela mal digeriva. Questo il lunedì, ma già il martedì l'energia era tornata quella di sempre, la avvertivi salendo le scale, e la trovavi a ragionare del nuovo programma, del nuovo incontro, della nuova rassegna. Fra le tante cose che Daniela ci ha lasciato e che conserviamo gelosamente, la sua caparbietà è fra quelle più preziose, rialzarsi sempre anche quando le circostanze ti farebbero venire voglia di mollare. Il giorno che lasciò l'Arsenale per subire il primo intervento chirurgico, Daniela dette a tutti noi delle consegne, dettagliate e perentorie come sempre, e, insieme a queste, un desiderio, quello di celebrare in qualche modo uno dei suoi più amati autori di cinema, Orson Welles, di cui si ricorda quest'anno il centenario della nascita. Per la verità aveva anche in mente di dedicargli la tessera di quest'anno e chi l'ha convinta a non farlo ora si sente anche un po' in colpa. Da quel giorno Daniela non è più tornata e gli eventi hanno preso un corso così rapido quanto inesorabile che ci ha un po' travolto. Ci piacerebbe esaudire in modo più compiuto il suo desiderio dedicando, alla nostra riapertura autunnale, una rassegna ad Orson Welles. Un piccolo regalo, però, vogliamo farglielo in questo mese di giugno, che è anche il mese del suo compleanno, aprendo la stagione delle proiezioni estive del Giardino Scotto con un evento speciale ad ingresso gratuito: una serata Orson Welles, con la proiezione del suo film ritrovato Too Much Johnson accompagnato con musica dal vivo e, a seguire, il suo capolavoro Quarto potere. Too Much Johnson è un film rimasto incompiuto, probabilmente la prima pellicola diretta da Orson Welles nel 1938 che si pensava perduto. Il mediometraggio (66') è stato riscoperto nel 2008. Le bobine sono state ritrovate casualmente in un magazzino a Pordenone e il film, restaurato, è stato proiettato in prima mondiale il 9 ottobre 2013 alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone. Questo ci sembra il modo più appropriato per esaudire un desiderio espresso quel giorno che Daniela lasciò l'Arsenale. Quel giorno che lasciò l'Arsenale lei non sapeva che sarebbe stato l'ultimo e nemmeno lo sapevamo noi abituati ad associare indissolubilmente a lei quella sedia, quel tavolo, quel computer, abituati a vederla seduta alla sua postazione ogni volta che salivamo le scale, ogni giorno della settimana, ogni ora del giorno. Nessuno poteva immaginarlo. Per quelle strane, incredibili, imprevedibili coincidenze che a volte la vita ci riserva, il suo computer da quel giorno ha smesso di funzionare. Si sa che le macchine lo fanno, un giorno funzionano e il giorno dopo, quando meno te lo aspetti, smettono di funzionare. O forse non è stata una coincidenza, forse quel computer serviva da un'altra parte e forse c'è un posto dove quel computer continua a funzionare.

Nessun commento:

Posta un commento